Narrare con le immagini. Intervista al fotografo Carlo Bevilacqua

Questa intervista al fotografo Carlo Bevilacqua apre una serie di “chiacchierate” con artisti e vari personaggi con specificità diverse che lavorano nel mondo della creatività e che, con le loro opere e il loro lavoro, ci hanno regalato interessanti spunti di riflessione e nuove idee.


Carlo Bevilacqua, nato a Palermo nel 1961, fotografo e regista, da circa trent’anni alterna la fotografia alla realizzazione di documentari e videoclip.
Inizia a fotografare a Palermo negli anni Ottanta; si trasferisce poi a Milano, dove vive ancora adesso, e dove collabora con periodici, agenzie di pubblicità nazionali e internazionali, senza mai tralasciare però le proprie ricerche personali e autoriali. Ha diretto e prodotto anche vari documentari tra cui, in collaborazione con Francesco Di Loreto e Little Red Robin Hood, un documentario biografico su Robert Wyatt, cantante e batterista dei Soft Machine, con la partecipazione di Elvis Costello, Brian Eno, Phil Manzanera e Nick Mason; un documentario su  Moira Orfei intitolato Amore e Fiori, colorato affresco pop sulla regina del circo, e vari videoclip per artisti come Cristina Donà, Marco Parente e Antonella Ruggiero.
I suoi lavori, fotografici e video, sono stati esposti o proiettati in numerosi foto e film festival internazionali come Boutographies  a Montpellier, in Francia, PhotoBiennale di Salonicco, in Grecia, Fotografia Festival a Roma, Indian Vision a Londra, Fotografia Europea a Reggio Emilia,  e ancora al Center for Fine Art Photography,  nel Colorado in USA .
Il suo lavoro Into The Silence, dedicato agli Eremiti del Terzo Millennio, oltre ad essere stato selezionato e incluso in prestigiose rassegne e premi internazionali di fotografia, come il Taylor Wessing Prize alla National Portrait Gallery di Londra o l’International Photography Awards in USA, è stato esposto al Cortona On The Move Festival, al Turin Photo Festival 2012 e al Singapore International Photo Festival.

Studio XTV di Carlo Bevilacqua
Carlo Bevilacqua nel suo studio
Primo libretto delle foto Indian Stills

Carlo, i tuoi ultimi bellissimi scatti sono quelli di un fotografo reporter?

In realtà preferisco considerarmi un narratore piuttosto che un reporter. Il reportage ha delle regole ben precise e il mio rapporto con la fotografia è più vicino alla narrazione che all’immagine perché individuo delle tematiche che mi incuriosiscono e le sviluppo. Cerco di avere uno sguardo il più possibile neutro, privo di giudizio ma è inevitabile inserire nel racconto anche qualcosa di mio. Inoltre i miei lavori, proprio come una storia, hanno un rapporto stretto con la dimensione temporale: si sviluppano cronologicamente e richiedono tempo per essere fruiti. Si può dire che le mie opere diventano libri, anche se alcune immagini  vanno a finire anche sui giornali e nel web. In realtà parte dei lavori sono certamemnte reportage ma sono anche di ritratti, paesaggi, interni. Probabilmente ho fatto un mix di generi che comunque pone l’uomo, al centro della narrazione.

Un tuo lavoro di ritratti è Indian Stills...

Si tratta di una serie di scatti con il banco ottico e il cavalletto. La bellezza delle foto è proprio questa: non sono immagini rubate, ma scatti dove le persone sono coinvolte e si mettono in posa, felici di farlo.
In questo lavoro c’è un escamotage estetico/tecnico, e cioè il fatto di usare quella pellicola e avere quella cornice inquadra le foto in una cifra stilistica, in un’estetica molto riconoscibile.
Dal punto di vista prettamente fotografico, quella specifica cornice (che è la cornice della protezione del polaroid) dichiara che sto usando quella pellicola e che non ho fatto tagli, cioè che l’immagine che si vede è quella che ho fotografato. In pratica l’immagine pensata prima di diventare immagine.
Per queste non sono ricorso al colore, anche se si tratta in ogni caso di una piccola ”manipolazione” della realtà dove l’immagine non ha l’immediatezza del reportage. Dei ritratti appunto.

Indian Stills Carlo Bevilacqua
Indian Stills Carlo Bevilacqua
Carlo Bevilacqua Indian Stills
Indian Stills Carlo Bevilacqua

I tuoi due ultimi lavori personali sono Into the Silence e Utopia. Come sono nati?

Sono nati dal mio desiderio prima di conoscere e poi di raccontare e mostrare il percorso intrapreso da alcune persone, da sole o insieme ad altre, che, hanno scelto delle soluzioni alternative al nostro stile di vita.
Il lavoro degli Eremiti racconta di personaggi che, spinti da diverse e personali motivazioni, da una vita normalissima hanno intrapreso un percorso di ascolto nel silenzio, in una sorta di otium nel senso romano. Persone che sono andate alla ricerca di quel momento in cui si diradano i pensieri, per riflettere o meditare, conducendo una vita semplice, vicina alla natura e nel rispetto all’ambiente.

Gisbert, il primo eremita che ho incontrato, vive in una grotta a Filicudi; il monaco Maxime si è ritirato in un piccolo paese della Georgia in cima ad una colonna di roccia alta quaranta metri; Swami Atmananda vive in Calabria nell’Eremo Dell’”Armonia Primigenia”; Viviana è una ex modella che vive negli Appennini con l’ambizioso progetto di far aprire le chiese abbandonate per ospitare eremiti in cerca di una sistemazione. E questi sono sole alcuni degli eremiti del terzo millennio che ho incontrato.

Mentre sviluppavo il progetto sugli Eremiti del terzo millennio, Into the silence, nel mio viaggiare mi sono imbattuto in California nella comunità hippy Slab City. Da quel momento ho iniziato a pensare anche alle scelte di vita comunitarie e da lì, in seguito anche ad una chiacchierata con una vecchia amica è nato Utopia.

Dal singolo individuo alla comunità…

La domanda che si fanno queste persone, sia gli eremiti che i gruppi, e che mi ha interessato tanto da motivare le varie ricerche che ho fatto e da spingermi a realizzare anche Utopia, è: “Si può rendere il mondo un posto più bello? Cosa si può fare di più per vivere meglio?”
Mi interessava capire che tipo di felicità cercasse questa gente. E poi che tipo di organizzazioni reggono certe comunità.
La definizione di Utopia è ben espressa dalle parole di Arianna Rinaldo nella sua introduzione al libro: “ [Utopia è un] viaggio alla ricerca di chi ha avuto il coraggio di credere in un mondo migliore facendo del proprio sogno una realtà”.
Al contrario di ciò che comunemente intendiamo con la parola “utopia”, e cioè un desiderio ideale e irrealizzabile, per me è la spinta che permette all’uomo di superare i limiti e realizzare le proprie aspirazioni. L’utopia non è arrivare in un posto, bensì è la direzione verso quel posto.
Alcuni esempi famosi di “utopie realizzate ” possono considerarsi la città di Arcosanti nel deserto dell’Arizona, un modello esemplare di arcologia, cioè di un’architettura coniugata all’ecologia sviluppata dall’architetto italiano Paolo Soleri; il villaggio Eliphante, nato dalla fantasia e dall’abilità dell’artista Michael Kahn e sua moglie Leda Livant; Christiania in Danimarca, una delle più famose comunità hippie urbane. E qui in Italia, in una valle vicino a Ivrea, Damanhur, una comunità eco spirituale che pratica agricoltura biologica, dove si costruisce o si ristruttura secondo i principi della bioedilizia e che gestisce aziende nel campo delle energie rinnovabili. O, ancora, la Comunità degli Elfi, nell’Appennino Pistoiese, un gruppo di persone insediatosi nelle case abbandonate dai contadini persegue un’ideale di vita naturale, priva di tecnologie superflue e la cui gestione è basata su principi partecipativi.
Storie una più emozionante dell’altra nate e cresciute in posti affascinanti, bellissimi.
La fotografia è anche un modo per esplorare il mondo e per conoscerlo, un arricchimento personale che poi cerco di condividere con gli altri.

La condivisione è parte integrante di Internet, che per il tuo lavoro è uno strumento fondamentale. Cosa pensi dunque del web?

È vero, Internet o meglio le tecnologie digitali sono utilissime per tre motivi. Il web è sicuramente una “cassa di risonanza” che mi permette di far conoscere e di promuovere i miei lavori anche fuori dall’Italia.
Però più che per farmi conoscere, in generale mi servo di Internet per conoscere, reperire informazioni e cercare dei contatti.
Inoltre la rete mi ha permesso di entrare in contatto con Crowdbooks, una startup italiana che pubblica libri in crowdfunding e senza la quale, forse, non avrei mai potuto trovare i fondi per pubblicare il libro di Utopia. Grazie a Crowdbooks le persone hanno potuto infatti potuto pre-ordinare il libro, nella versione cartacea del libro più l’ebook, a un prezzo più basso che ci ha permesso di realizzare una tiratura di tutto rispetto.

So che Utopia è stato presentato da poco…

Si! C’era già stata una presentazione nel mese di novembre a Bookcity Milano, a cui ho partecipato assieme a Crowdbook per raccontare il mio progetto.
A gennaio invece ho parlato del mio lavoro presso i Frigoriferi Milanesi all’interno di “Writers #6. Gli scrittori si raccontano”, una manifestazione letteraria dedicata agli scrittori. L’argomento di quest’anno era Pasolini e il Sessantotto e, poichè agli organizzatori è sembrato che Utopia potesse collegarsi a questo tema, è stata organizzata una mostra e una presentazione insieme ad altri autori nel weekend del 26/28.

Grazie mille Carlo per l’intervista. In bocca al lupo per il tuo libro e per i tuoi prossimi progetti!